Un ruscello si staglia algido e sinuoso contro uno strepitoso tramonto in una vallata e due secondi dopo l’alba illumina le dune, tra cui si distingue la sagoma di un cammello, il tutto mentre sediamo nel modernissimo tram che corre veloce tra palazzi decadenti, in un piovoso pomeriggio di maggio.
Facebook, travel blogger, Instagram, pubblicità di compagnie aeree e crociere, Tripadvisor, illudono di continuo l’occhio e la mente facendoli vagare in paesaggi irraggiungibilmente belli, introducendoli nelle vite degli amici lontani, sospendendone la percezione della realtà per indurli a volare il più lontano possibile, in mondi di cocktail e sole, conquiste di vette montane, alberghi tutto-compreso che promettono la perfetta programmazione di ogni singola emozione, oppure, per i più arditi, la migrazione o addirittura la fuga senza ritorno verso la perfetta antitesi alla propria vita reale.
Il viaggio viene suggerito come urgenza, ovvietà, soluzione facile alla routine. Le occasioni da non perdere si contano a migliaia, la sollecitazione alla fuga è costante.
Nei social network, immense librerie di foto documentano atteggiamenti, sorprese e critiche del singolo individuo che ci mostra la “sua” destinazione di viaggio, nella stragrande maggioranza dei casi con la visione estasiata di chi è in vacanza, spessissimo con approccio spiritoso e informale e, qualche volta, con la modesta ambizione di fare la foto del secolo. Si tratta sicuramente di un universo contrapposto all’estetica patinata della pubblicità e che ha semplicemente la pretesa di “condividere” e celebrare l’esperienza del viaggio da un punto di vista strettamente personale.
La massiccia produzione quotidiana di immagini, sommata alle newsletter settimanali di Tripadvisor, alla pubblicità dei vari siti di prenotazione di alberghi e voli, finisce per produrre una concezione del viaggio in cui la possibilità di un nomadismo facile, comodamente alternabile alla vita di tutti i giorni, si mescola alla prospettiva di esperienze sempre eccezionali ed appaganti.
Quando si decide di partire, qual è il vero momento di inizio del viaggio? Personalmente credo che il viaggio cominci nel momento in cui si acquista il biglietto del volo o, in generale, quando si fissa la data della partenza.
In pratica, quando la nostra mente si proietta con concretezza nei preparativi. Una parte del nostro cervello si assenta dalla vita quotidiana molto prima del decollo dell’aereo. In verità, viaggiare comporta sforzo, tempi morti, pazienza, tolleranza, senso dell’organizzazione, capacità di previsione di difficoltà e di reazione agli imprevisti.
Certamente l’invidiato travel blogger che passa il tempo scrivendo, viaggiando e sponsorizzandosi con lavoretti vive esperienze straordinarie, ma altrettanto certamente deve reinventarsi giorno dopo giorno a seconda di quello che incontra nel cammino, oltre, ovviamente, a doversi concentrare su programmazione della tappa successiva, scrittura del post, elaborazione grafica delle foto… Perché mai quest’impegnativa attività ci viene venduta come svago, relax, divertimento, e noi ci crediamo?
La tempesta di proposte e suggestioni ha reso i viaggiatori più consapevoli rispetto al tipo di viaggio che intendono fare e ha coltivato un ampio pubblico di turisti autogestiti, a sfavore dei pacchetti di viaggio. Chi ha tempo e fantasia, si documenta, cerca, confronta prezzi, parte.
Giunti alla meta, allo stimolo esteticamente ineccepibile del bel paesaggio si mescolano gli odori invasivi di cibi e persone, il troppo caldo o il troppo freddo, i lunghi e anonimi tragitti da e per gli aeroporti, la rivalità con il resto del gruppo umano mosso dalle nostre stesse pretese e le difficoltà linguistiche. Il grado di motivazione deve essere significativo e avere una solida base costituita da una forte curiosità.
In tutti i casi, qualsiasi sia l’obiettivo del viaggiatore, al momento del contatto diretto con usi e ambienti differenti, qualcosa scatta dentro.
Per l’avventuriero integrale, munito di semplice zainetto in cui è racchiuso un universo, sarà la conferma delle aspettative, indipendentemente dagli eventi realmente vissuti.
Per l’acquirente del pacchetto di viaggio, o per chi si situa a metà tra l’avventuriero e l’amante del viaggio organizzato, si apre invece un ampio spettro di possibili reazioni.
Potremmo immaginare tale spettro come un ventaglio e collocare vicino all’impugnatura lo spirito turistico meno disponibile a mettersi in discussione e assolutamente deciso ad ottenere quanto promesso in cambio del pagamento del viaggio.
Si tratta, in pratica, del viaggiatore che contempla la possibilità di far causa all’agenzia di viaggi per qualsiasi minima contrarietà e che in genere torna a casa con un bagaglio di recriminazioni.
Nel punto di massima apertura del ventaglio potremmo situare invece chi è partito con un’idea ed è tornato a casa con un’idea differente, chi sapeva già, in un certo senso, che avrebbe dovuto rimettersi in discussione per far tesoro della gioia, ma anche dello sconcerto, provocati dal contatto con l’altrove.
Tutti abbiamo un altrove (oggi va di moda l’idea del “giardino segreto”).
L’uso che facciamo di questo spazio immaginario è assolutamente individuale e i viaggi sono sicuramente una transizione verso quello che abbiamo da scoprire al nostro interno. Direi che questa è la fondamentale motivazione che ci spinge a sopportare le code del check-in.
Dicevamo che l’avventuriero integrale vede sempre soddisfatte le proprie aspettative, indipendentemente da quello che gli succede realmente quando viaggia. Ciò è possibile perché il suo animo è un libro ancora non scritto; non pretende: osserva e ascolta.
Per smitizzare questa figura, aggiungo che l’avventuriero spesso è un maestro dello scrocco, ma lo fa con tanta simpatia e sa contraccambiare donando qualcosa a chi lo ospita, o gli mette un piatto caldo davanti.
E tutti gli altri viaggiatori “pendolari dell’avventura”? Come tornano a casa?
Lasciando da parte i recriminatori professionali (quelli più vicini all’impugnatura del ventaglio) per tutti gli altri la soddisfazione sarà direttamente proporzionale al loro grado di credulità nell’altrove ready-made proposto dai media e dai social-network.
Più hanno vissuto i viaggi attraverso gli occhi degli altri, più scolorita e non particolarmente interessante gli apparirà la realtà quando non passa attraverso il filtro Clarendon!